Sunday, August 1, 2010

Madri di Teheran. Quando la vita diventa un'altra cosa

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Scritto da Nando dalla Chiesa
Thursday 22 July 2010

21 luglio. Alla Settimana Internazionale dei Diritti era questa la data prevista per i molti appuntamenti di solidarietà con la rivoluzione verde iraniana. Ospite d’eccezione il premio Nobel per la pace 2003 Shirin Ebadi, primo giudice donna nella sua patria, primo premio Nobel musulmano, ora in esilio in Europa. Ma c’erano anche altri ospiti, come quattro giovani reporter e giornalisti, testimoni della repressione del giugno 2009 e poi scampati all’arresto e alla tortura abbandonando fortunosamente la propria terra. In mattinata una grande rotonda di Sampierdarena (la Fiumara) è stata dedicata alle “madri di Teheran”. Ero convintissimo di questa scelta (Teheran come Tien An men come Buenos Aires…). Ma devo essere sincero: ho capito che cosa stessimo facendo davvero solo quando ho visto i volti della madri in lutto iraniane giunte a Genova a loro spese da ogni città d’Europa. Quando le ho viste con le foto appese al collo. Quando ho sentito una di loro dietro di me scoppiare a piangere disperatamente battendo i piedi. E anche il totem dedicato a Neda, la studentessa uccisa da un miliziano la cui foto a terra fece il giro del mondo in pochi minuti, è diventato un’altra cosa dopo che tutti gli iraniani presenti hanno cantato alzando le due dita della vittoria quello che per loro è il vero inno nazionale ma che nessun regime ha mai riconosciuto. Cose da brivido, che da sole danno un senso altissimo a questa Settimana. E, lo ammetto, brivido anche quando le donne sedute sulla scala, per ricambiare la solidarietà, hanno intonato con qualche incertezza di parole le note di “Bella ciao”. Stupendo. Io c’ero, è il caso di dire. Ero stato chiamato a sedere tra loro dalla signora scoppiata a piangere dietro di me, grata per il solo fatto che l’avessi accarezzata. E ogni tanto mi sono trovato a cantare in coppia con una giovane iraniana genovese (tutte però riprendevano con gioia il coro al ritornello di “Bella ciao, ciao, ciao”)

Difficile raccontare la forza morale trasmessa da Shirin Ebadi prima in piazza, poi nella sala di rappresentanza comunale dopo avere ricevuto la cittadinanza onoraria e infine, ancora, nel cortile di palazzo Tursi, quando ha tenuto la sua conferenza sui diritti della donna nel mondo. Dirò solo che la sua frase “Bisogna globalizzare i cuori” ha letteralmente stregato il pubblico. Bello anche l’incontro tra i giovani iraniani e due rappresentanti degli studenti universitari di Genova: chissà perché temevo una cosa burocratica (l’interprete ecc.), invece è stata un’occasione per capire qualcosa di più della rivolta studentesca iraniana. Ha detto una di loro: quando vedo la polizia in Italia ancora mi viene spontaneo toccarmi la testa per vedere se il velo è a posto. Mai avevo sentito spiegare il totalitarismo in questo modo.

Lo spettacolo sul Genova 2001 di Fausto Paravidino (veri e ripetuti guizzi di ingegno) e la musica persiana hanno chiuso la serata, insieme a “Green Days”, film sugli scontri di piazza e sulla protesta giovanile in Iran. Alla fine me ne sono andato a letto che mi sembrava di avere vissuto due giorni di fila.

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